21 marzo 2021 Cos’è la poesia?
Cosa vuol dire la parola POETA?
Deriva dal verbo greco POIEO che vuol dire semplicemente FARE. Su Wikipedia si legge che un poeta è uno “scrittore di poesia”.
COSA VUOL DIRE, allora, POESIA?
La poesia è l’arte di mettere insieme parole, suoni e ritmi per esprimere contenuti, emozioni personali. Per questo la poesia è imparentata con la musica, che mette insieme note, suoni, ritmi. Il valore aggiunto della musica e della poesia, secondo me, sta nell’emozione che sa dare. Tutti siamo cacciatori di emozioni e, per averle e trasmetterle, la poesia ha bisogno della LIBERTA’.
I bambini sono i migliori poeti. Perché sono alla fonte del sapere e possiedono una umanità totale. Poi la scuola e la società, spesso, ne spengono il patrimonio. Chi riesce a sfuggire a tutto questo ha una buona speranza di diventare un poeta.
CHI E’, dunque, IL POETA?
E’ qualcuno che vede le cose che altri non vedono. Che sa cogliere particolari ed emozioni in TUTTO. E sente l’esigenza di scriverle. Fermarle. Per sé, prima di tutto. Per un poeta non è pensabile lasciar perdere, lasciar correre o rimandare a un’altra volta.
Deve scriverle quelle parole perché sono loro che in modo prepotente decidono di uscire e diventare segni. Il poeta scrive per vuotare un pieno che ha dentro e preme. Non per riempire un vuoto. Perché un poeta non è mai solo né vuoto. Perché ha le parole che lo tartassano, lo obbligano a farle uscire, ma gli fanno compagnia e sono TERAPEUTICHE. E questa è una magia, una fata o una strega con cui chi scrive ha a che fare, sempre.
Queste sono dunque poesie? Sì, anche se, magari, non rientrano nei canoni della metrica, della rima, delle regole auliche. Esattamente come quelle dei bambini. Loro non conoscono Dante nè Petrarca nè altri nomi altisonanti.
La poesia è come uno sguardo vergine sulla realtà, caratterizzata da una vita clandestina. Anche se, a dire il vero, cosa sia davvero la poesia è oggetto di discussione, anche ogni 21 marzo, Giornata mondiale della poesia, istituita nel 1999 dall’Unesco.
Il bello della poesia, inoltre, sta nel fatto che si evolva con il gusto dell’epoca e non coincida mai con quello di un’altra. Si legge Dante, sì, ma non si usa la sua tavolozza espressiva. La poesia è cambiata, come è giusto che sia, ma chiede confronto, accetta la critica. Come l’arte, si rivela valido scudo davanti alle difficoltà del contemporaneo. Si qualifica Officina di parole che dicono le verità con linguaggio capace di influenzare l’umore, di legare autore e lettore in un’esperienza empatica profonda, di dare un senso alle vite sempre più complicate, di mostrare vie s’uscita dalle difficoltà, di portare a una maggiore conoscenza di sè.
La poesia è catartica, trasforma il dolore in altro, aiuta a essere grati, ad apprezzare le piccole cose, a connettere poeta e lettore al mondo.
Ci sono versi che accompagnano per un lungo periodo o scandiscono un solo istante, altri non lasciano traccia in un determinato momento, ma si ripresentano in altri, risultando salvifici.
E i poeti?
I poeti hanno fame di amore e di ascolto e di condivisione: in quel caso l’emozione genera felicità. Essere ascoltato è una delle cose che gratificano di più chi scrive, come una madre che fa vedere il proprio figlio, con timidezza, ma anche con orgoglio gioioso.
Chi non prova questo, non è un poeta, ma semplicemente uno che scrive.
Sono, io, poeta? Per il fatto di scrivere poesie, sì, ma lo sono soltanto se lascio una scia di emozioni. Spero, davvero, sia così!
Dedico la giornata di oggi – e della poesia – a questa bambina, vista in un villaggio di Zanzibar, nel 2016. Solo con i versi, riesco a descriverne la regale dignità.
PRINCIPESSA DI STRACCI
Ti ho rubato
al tuo regno di fango
per il tempo di un click,
Principessa di Stracci
a brandelli cadenti
e perfetti
nel villaggio di Zanzibar.
Tra i turisti per caso,
sei spuntata d’un tratto,
fiera, coraggiosa,
imponente,
nel tuo regale vestito,
indossato con ostinata necessità.
Come lame, le tue pupille
hanno trafitto l’aria
ronzante di mosche affamate,
nel silenzio incompiuto
di un uragano di perché.
Dignitosa sovrana
del tuo regno di fango,
difendi con lo sguardo
la tua storia
dai turisti per caso,
come me.