DE-MENTE? NO! SENTE-MENTE, convegno sull’Alzheimer con LETIZIA ESPANOLI, felicitatrice – Codroipo (UD) – 3 marzo 2017
Quando l’Alzheimer si rivela opportunità di crescita.
Massimo coinvolgimento emotivo in Auditorium quando parlava Letizia Espanoli,
felicitatrice e ideatrice del modello “Sente-mente” rivolto alla comunicazione
efficace con i malati di Alzheimer. Non computer né slide ma solo parole di spessore. Dritte. Come
spade ma di luce, in una serata voluta dall’Associazione Alzheimer di Codroipo,
presieduta da Fortunato Tonin, e costituita sulla scia della precedente,
attiva per undici anni sotto la guida di Luciano Commisso.
Si è trattato di un
incontro utile a tutti ma, in particolare, ai familiari quasi mai preparati
alla malattia perché non esistono corsi né
servizi che insegnino cosa fare e costretti a vivere nel silenzio e solitudine, sentendosi
impotenti a causa di una relazione sbagliata con la malattia. Spesso al momento della diagnosi finisce la
vita. Per questo i volontari danno informazioni
basate su esperienze vissute, tramite lo
sportello informativo, i caffè Alzheimer, e altre iniziative. L’assistente
sociale Stefania Ferreri ha presentato Letizia Espanoli come colei che insegna
come si possa andare oltre la demenza, scoprendone i lati belli. Che ci sono ma
di cui nessuno parla perché la gente sa solo le cose brutte.
Letizia, consulente per enti pubblici e
privati in tutta Italia, ha invitato a
cambiare prospettiva e cultura, a uscire
dalla drammaturgia dell’Alzhaimer. La
demenza è classificata come grave ma la malattia non porta solo via ma lascia
qualcosa di essenziale: le emozioni.
La scienza prova che le persone con
demenza provano emozioni. La migdala, piccola parte del cervello, si attiva quando provano emozioni e
percepiscono quelle degli altri. In Italia si legge la demenza come fatto gravissimo, manca il diritto ad avere una diagnosi che permetta un viaggio da
intraprendere ma dalla parte della vita e non del lutto anticipato.
L’Alzheimer va avanti piano piano e le persone
accedono a un altro livello di intelligenza accessibile anche a noi se
smettessimo di voler capire. La vita non è capire tutto e importante non è
capire ma sentire. Ogni essere umano può provare 250 emozioni diverse. Le emozioni sono
semafori e il nocciolo vitale delle persone deve essere visto e tutelato. Come? Andando oltre la parola, attivando sguardi,
il contatto, la carezza, la voce bella. Sono persone estremamente sensibili e vivono
il tempo di presenza e di amore. Tutto cambia in chi è malato. Non ha la parola,
spazi e tempo sono dilatati, non ha lo stesso viso.
Vive il qui e ora. Spesso non accede ai
ricordi ma segue i sensi, gli odori, magari soltanto con il cuscino che sa di casa.
Importante però è leggerne il comportamento.
Per esempio, come fa a dire se prova dolore? Se ha male urla di più e scappa di notte. Il 30 per cento dei comportamenti difficili nascono
dal dolore non espresso.
Allora entra in ballo il gioco della relazione che ama
e gioca abolendo le domande e usando poche parole, in grado di aprire brandelli
di comunicazione. Ma in questo c’è ancora tanta ignoranza. Bisogna quindi creare la modalità che non espropri
il diritto e la dignità di continuare a essere. Un prendersi cura ma in una relazione d’amore.
La demenza diventa allora una grande
opportunità e l’unica strada per regalarsi
ancora giorni felici, non perché va tutto bene ma perché si sceglie il modo migliore
per affrontare la malattia. Mai dire “perché a me?” ma “ come me la gioco?”. Il vero maestro diventa lui, il “malato” perché
torna all’ essenza delle cose come i bambini. Andare a scuola da lui vuol dire “
fai di ogni momento una cosa preziosa”. Vuol dire imparare a non fargli domande, a non
volerlo riorientare ma assecondare, giocare senza paura di perdere la faccia ma
solo per amore, in un linguaggio di poche parole e tanti gesti. Vedendo lui non
la malattia.
In un viaggio difficile ma
che dà tanto, sempre con la sensazione di avere un muretto alla nostra altezza.
Si può scegliere di tornare indietro o alzarsi sulle punte e vedere oltre con
la curiosità per ciò che potremmo divenire.
salto di muretti? Chi è stato curioso nella vita va nell’aldilà più
sereno.
muretto da saltare.
laboratori” danno risultati qualitativi e quantitativi, perché sono un allenamento
a vedere le cose belle, senza l’idea dell’ errore e della perfezione,
sapendo che la bellezza sta nell’ imperfezione e l’ errore è un’ opportunità.
Il dono più bello che i malati di demenza fanno sta nel fatto che dimenticano
gli errori.
Tratto da “De-mente? No! Sente-mente” di Letizia Espanoli, edito da Maggioli Editore
Inizia da qui il nostro viaggio...
Cosa posso fare di fronte a una persona che, giorno dopo giorno, perde
la sua essenza più umana? Cosa posso fare con una persona che non mi
capisce, che non parla più la mia lingua? Cosa posso fare mentre cerco
di comprendere ma niente mi è chiaro?
E ancora, di fronte
all’incomunicabilità, come posso svolgere i compiti quotidiani della
presa in carico (alimentare, fare l’igiene personale, proporre
attività)? E come fare quando queste azioni scatenano re-azioni nella
persona affetta da demenza così gravi, quasi a temere per la propria
incolumità? E’ davvero aggressivo? Violento? …
Eppure tutti noi
lo diventeremmo, se abitassimo in un mondo che non comprendiamo e che
non ci comprende. Domande! Migliaia le domande che in questi anni hanno
abitato la mia mente e come tsunami violenti hanno a la malattia di qualcuno
che amiamo? No! Non si accetta una malattia come si riceve un pacco.
Accettare e’ un verbo passivo e nulla di ciò che riguarda l’anima può
avvenire così. La malattia, l’imprevisto, il dolore può essere solo
accolto. Accolto come un maestro che viene a insegnarti qualcosa, che
giunge a portarci qualcosa (nuove consapevolezze, qualche volta
opportunità di relazioni insperate)…
Cosa può prevenire
l’impotenza? “Apprendere anticipatamente che le proprie azioni
influenzano gli eventi” scrive il noto psicologo americano Martin
Seligman
La relazione con la persona affetta da demenza ci pone
spesso di fronte a dei fallimenti (relazionali: non riusciamo a farci
capire, non riusciamo a capire, non riusciamo a creare la scintilla del
con-tatto e assistenziali: non riusciamo ad aiutarlo a lavarsi senza
aggressività fisica). Anche il fallimento rende temporaneamente
impotenti.
Ma in quel momento una domanda può e deve farsi strada: cosa mi vuol dire? Cosa mi sta comunicando?
“Sono certa che la maggioranza dei disturbi del comportamento siano
linguaggio. Sono il modo attraverso il quale la persona affetta da
demenza cerca di comunicare il suo malessere, il suo disagio, il suo
disappunto. E’ possibile consentire la libertà di esistere alle persone
affette da demenza?” scrivevo alcuni anni fa.
La libertà di
esprimere le proprie emozioni senza reprimerle, negarle o piuttosto
“annegarle” in qualche farmaco? D’altra parte anche per i famigliari,
come per gli operatori “la stanchezza” è il terreno su cui coltivare
rabbia, risentimento, amarezza invece che bontà, compassione ed empatia”
scrive il dott. R. Shlim nel suo bellissimo libro “Medicina &
compassione”
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