LIBRO “LE MIE FIGLIE ERANO GIA’ NATE” di Michela Passatempo – in Biblioteca a Camino al T (UD) – 28 ottobre 2015
Camino t (UD). Sala Davide Liani in Biblioteca. Protagonista è l’autrice di Arzene (Pn) Michela Passatempo, insieme all’editrice Maura Pontoni – Orto della cultura.
Intermezzi musicali curati dalle violiniste Elena Sbruazzo e Letizia Locatelli.
Eliana Gallai, presidente della Commissione di vigilanza biblioteca presenta l’autrice Michela Passatempo ed il suo libro “Le mie figlie erano già nate”.
Le violiniste caminesi introducono la presentazione, curata dall’editrice Maura Pontoni
Michela Passatempo, moglie e madre, laureata in lettere, poliedrica, dedita al volontariato, scrittrice,
Cosa significa scrivere? ” Dare ordine agli eventi che ci accadono, una sorta di voglia di fermare il tempo con la scrittura che mi chiama. Le parole mi chiamano. Con lo scrivere si dà spessore ai pensieri leggeri e leggerezza ai pensieri pesanti, Ho voluto dare voce e dignità alla donna che sta a casa, quella che lava, nutre, accudisce in un lavoro che si consuma in 24 ore. La scrittura mi chiamava a far volare la materialità domestica.
Perché hai scritto questo libro? Non è un manuale sull’adozione ma racconta la storia dell’adozione. Scriverlo è passare a mie figlie una parte della mia essenza. E’ questo il mio dono per loro. I bambini adottati non hanno ricordi e per me era importante fermare ogni piccola cosa della loro vita.
Che consiglio daresti ai genitori che si avviano all’adozione? Armarsi di pazienza, ai tempi di attesa lunghi e la burocrazia è pesante. Io ho atteso due anni per la prima figlia, cinque per la seconda. E pensare che quando arrivano le devi accettare per SEMPRE.
Le violiniste Letizia Locatelli ed Elena Sbruazzo
Cristina Pilutti, assessore alla cultura
Fiabe in dono a Michela da parte del comune di Camino al T e della Biblioteca Civica.
Michela è una donna che scrive. Lo fa per amore. Per farne dono alle sue due figlie. Per esplorare parole adatte ad esprimere ciò che prova una donna cui la maternità naturale viene negata. Con quel senso di colpa, di desiderio irrealizzato, di incompletezza, sempre lì, in agguato. Leggere questo libro è come stare su un dondolo. Su, giù, ieri, oggi… lunghe attese, speranze, esplosioni, amore e gratitudine. Il tutto avvolto nella placenta di due maternità mai avvenute ma desiderate così visceralmente da sfociare in due adozioni. Totalmente opposte tra loro, in due poli del mondo diversissimi: India e Colombia. Luoghi di origine di due bambine, una adottata a due anni nel 2000 e una a otto nel 2008. Pacifista e pacificante, calma e flemmatica la prima, agitata e allertata, focosa e suscettibile la seconda. Una è figlia di “pancia”, la seconda è figlia di “testa”. Damayanti e Angela. Le loro storie si sono intrecciate con quelle di Maria e Francesco, coppia innamorata e unita dal desiderio di diventare genitori. Tutti e quattro insieme, oggi sono una famiglia reale, pur senza legami di sangue, dove l’amore non è stucchevole ma intriso di sentimenti ed emozioni come la gelosia, la paura, la delusione, il rifiuto, la rabbia. Una famiglia come tante, in cui le figlie stanno crescendo e dove l’amore viscerale lascerà spazio ad una nuova storia in cui Damayanti e Angela dovranno trovare la loro strada. Che passerà anche attraverso il rifiuto e la ribellione, come è giusto che sia. Maria, la madre, sa che dovrà fare i conti con la propria “maternalità” affinché non diventi ostacolo alla loro crescita. Il libro si ferma a questo punto, con la prospettiva del suo pensionamento da mamma di bambine a madre di ragazze e future donne. Con la consapevolezza che questo sarà il suo compito. Il libro autobiografico, scritto da Michela Passatempo di Arzene (Pn), racconta la maternità adottiva in tutta la sua carnalità. Maria non è mai triste o arrabbiata con la sorte che le vieta di diventare madre naturale. Semplicemente vuole dare linfa all’istinto materno che in lei è sensazione emotiva travolgente. L’autrice apre le porte al freddo iter della fecondazione assistita, dove speranza e sofferenza vanno di vari passo. Ne descrive le ansie e le attese, le sale d’aspetto affollate e la domanda martellante “ Stavolta concepirò”? Con il senso di colpa verso la persona amata e le sentenze dai pulpiti più svariati che infastidiscono e offendono. Con quella parola “incinta, incinta, incinta” tanto odiata quanto desiderata. Ma quando i ripetuti tentativi si rivelano inutili e l’idea di non avere la pancia giusta per la maternità si fa certezza, ecco che l’idea dell’adozione prende corpo. Proprio quando l’assenza di figli diventa mancanza e l’unico desiderio è averne qualcuno da abbracciare, amare, crescere. Non importa se nato da qualcun altro. A quel punto ecco che inizia l’iter burocratico, le attese lunghe anni, il sogno che una fotografia diventi calda creatura. E poi i dubbi, le paure, i viaggi, gli incontri, gli scontri con la realtà di chi non sa nulla di genitori, casa, famiglia. E parla altre lingue. Mangia altri cibi. Qualcun altro da sé che però è figlio. “Voi siete mie” scrive l’autrice alla fine del libro, sapendo che avrebbe voluto dire “Io sono vostra” quasi a ribadire la nuova identità. “Voi siete amate e desiderate da noi, siete nostre, ci apparteniamo”. Pur sapendo bene che tutto il suo amore non potrà colmare il vuoto dei primi anni, il dolore dell’abbandono, sente un grande potere dentro di sé: quello di aver modificato il loro destino. “Ho iniziato a scriverlo quando è arrivata la prima figlia, aveva due anni e mezzo – spiega l’autrice – Otto anni dopo è arrivata la seconda, aveva otto anni. Il libro è nato con loro, dapprima come annotazioni. L’avevo scritto soprattutto per dare loro delle radici. Solo poi ho deciso di pubblicarlo”.
Pierina Gallina