India del nord, Triangolo d’oro 29 ott -5 nov 2011
New Delhi, Jaipur, Agra: tre caposaldi dell’India del Rajastan.
31 ottobre 2011: Da New Delhi a Jaipur (265 Km. 6 ore di percorrenza)
Un cielo di corvi svolazzanti, bramosi di prede, traffico caotico, tuk tuk, risciò, carri trainati da dromedari, mucche con la gobba, libere. Sono un incrocio con le mucche zebù. Smog fitto come nebbia, che non lascia spazio al sole, donne scopano le strade. Qualcuno dorme sdraiato, lì, dove tutti passano. Polvere e mucche mangiano sassi e plastica. Ma la gente ha i cellulari.
Eccoci a percorrere la parte nuova della città, dove dimorano i politici, tra cui Sonia Gandhi. Tutto è pulito, in ordine, con i soldati davanti a ogni casa. Superiamo ambasciate…la araba, pakistana, tedesca. Sembra di essere in Canada, tanta è la cura che si nota ovunque. Superiamo un bus. Bus? Meglio definirlo contenitore di polli, cioè ragazzi, tutti in camicia bianca, stretti stretti. E poi moto, e auto, moscerini impazziti avvolti nella nebbia.
Ecco l’India: prisma di volti indifferenti e caste in passerella.
India: non un viaggio ma un tuffo in un film tridimensionale, un’esperienza senza spina dorsale. Da annusare, toccare, guardare senza certezze, senza coerenza, senza pietà. Sempre in perfetto contrasto. Con spavento e armonia, con pietà e ammirazione, con brividi di morte e l’adrenalina del vivere.
Sari fluttuanti e coloratissimi, bambini bellissimi e disperati, baracche e alberghi a 5 stelle, donne-bambine dagli occhi luminosi già prostitute e senza specchio su cui riflettersi. Scene da guardare da dentro, con l’intensità del dolore, la dolcezza del piacere, la paura del nemmeno immaginato.
Flash incandescenti per l’anima, frecce di fuoco nelle pupille, soprese ad ogni battito di ciglia, incredule in un sogno-incubo che batte come tam-tam. Mistero e fede, crudità celebrata dal fasto, povertà adattata al volere del più forte, devozione come destino. E sorrisi e calda ospitalità.
Ma anche l’India del futuro, con ragazze in motocicletta, cellulare per compagno, Honda come status-simbol, Valentino sulla pubblicità delle divise delle scuole private, macchine digitali nelle giovani mani, hotel 5 stelle ad un soffio dai tuguri.
E il cielo osserva e volge lo sguardo altrove. E tace.
Come il mio pensiero orfano di parole.
Ore 10.00: Visitiamo un tempio Jainista, dove c’è un santone nudo e una santona di 85 anni, che, da 12, si sta lasciando morire, evitando di mangiare. Sa che tra quattro mesi morirà. Il santone di buon grado si fa fotografare con noi, a proprio agio nell’essere nudo. Libero e pulito.
1° novembre 2011: HAWA MAHAL – JAIPUR – RAJASTAN – 250 km.
Il pulmino arancione, con “tourist” marchiato sulla fronte, avanza sbuffando di buon mattino verso Jaipur, la città rosa. Ha lasciato da un pezzo la caotica New Delhi, sbuffando per 250 chilometri tra villaggi, baracche e solitarie umanità in movimento lento. Ad annunciare Jaipur il cambio repentino di velocità del motore, il caos del traffico e dei tuk tuk, risciò, carri trainati da dromedari, mucche in passeggiata libera. Dal finestrino leggermente appannato assisto con emozione al risveglio del Rajastan. Donne, dai sari coloratissimi, puliscono usci di baracche con fascine a forma di scopa. Qualcuno dorme, come feto abbandonato, lì, dove tutti passano e dove le mucche mangiano sassi e plastica e polvere. E’ il risveglio degli “Intoccabili”, padroni solo delle loro quattro ossa rannicchiabili a esigenza, di un sacchetto di plastica da accendere per scaldarsi, di un posto qualsiasi per liberarsi dagli escrementi. Nel traffico ancor più brulicante l’autista rallenta per evitare brusche frenate. Poi accelera, infiltrandosi in un varco che si apre come per magia proprio quando la collisione sembra inevitabile. Ci siamo. Il cuore della città vecchia di Jaipur è qui, con i maestosi palazzi che i Maharaja fecero dipingere di rosa in segno di ospitalità. Mani tese, bambini mendicanti della casta più bassa, gli “intoccabili”, di forme perfette, dai piccoli denti bianchissimi e grandi occhi scintillanti, pronti a mettersi in posa per poi chiedere la mancia, e tornare alle convulsioni del traffico e della vita. Vagabondi dormono per terra, distesi ovunque a casaccio. L’occhio è indeciso se posarsi sulla meraviglia dei palazzi o sulla moltitudine umana.
4milioni di abitanti, costruita nel 1727. Traffico e visi sorridenti, venditori a frotte. Scopriamo la città vecchia, dipinta di rosa, il colore dell’ospitalità.
Occhi verdi di mamme bambine, esili come giunchi
e la luna nelle pupille. Donne…sprazzi di sorrisi sull’uscio di tuguri orfani
di tutto.
Con la testa portaoggetti e ai piedi
croste di cammino e terra e sterco. Donne, bambine, vendute, buttate… meno di niente nel metro dei valori.
Ma a Jaipur ci torneremo la sera. Ora l’obiettivo è raggiungere il Forte Amber dove inizia l’avventura del venire letteralmente accerchiati dai venditori di turbanti, ombrelli, cappelli, marionette. E non smettono di seguirci nemmeno quando siamo in groppa all’elefante, togliendoci il piacere del panorama e della delizia dell’inedita passeggiata.
Nel pomeriggio, altra meraviglia: il Castello di Jaipur con l’Osservatorio astronomico e la meridiana che indica l’ora, quasi, esatta.
E poi un tuffo nel caotico traffico di Jaipur, a bordo del risciò.
L’esile, e sorridente, trainatore si gira verso di noi e ci spiega che ha tre figli, ma non vive a Jaipur perchè è troppo difficile stare qui. Il brulichìo della strada, con lo slalom tra lamiere, altri risciò, mucche e carri vari è pittoresco e suscita un po’ di timore. Alla fine l’omino ce l’ha fatta ad arrivare al punto di discesa. Chiede la mancia. Poi veniamo assaliti letteralmente da tanti presunti negozianti, orafi, venditori di tutto e di più. Fino allo sfinimento e alla rinuncia ad entrare in qualsiasi bazar. Decidiamo di tornare verso il pulman quando vedo un giovane padre che traina una specie di carriola. Dentro c’è un bambino di 5-6 anni, con il moccolo e visibilmente ammalato. E’ giovanissimo quel padre o presunto tale e chiede l’elemosina. No, non riesco a essere indifferente a questa immagine.
2 novembre 2011: Da JAIPUR ad AGRA (Utar Pradesh- 240 Km)
Dal finestrino vedo donne accovacciate sul tetto delle capanne spalmarvi lo sterco delle mucche. Altre chine sui campi di riso o lavare i panni su piccole piattaforme o su grandi sassi. Altre a fare fascine con le canne, sotto il sole, o in fila indiana, scalze. Donne, regine di un cubo d’eternit o di un sacco a cielo aperto.Sfrecciano “scuolabus” ovvero tuk tuk zeppi di studenti in divisa azzurra, in piedi e pigiatissimi.
Ci fermiamo davanti al villaggio delle prostitute. Esce una ragazzina, sui 15 anni, truccata e seguita da un nugolo di bambini seminudi e molto piccoli. E’ bella. Si avvicina al pullman con un “Hello” e mi appare triste sotto il sorriso forzato, i capelli neri ben raccolti. Un bue umano, braccia dietro la testa, steso di profilo su un letto di bambù, guarda la scena e pregusta certamente il facile guadagno grazie ad una bambina in pasto ad animali a due gambe. In nome del denaro facile e senza fatica. Per lui.
Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo!
3 novembre 2011: GWALIER in treno.
Dal finestrino della 1° classe distese ordinate di campi, covoni di paglia, trattori addobbati a festa con ghirlande di fiori, terra coltivata a distesa, ben organizzata con le capanne di paglia per il riposo, poderi isolati, piccoli villaggi, qualche lavorante, piccoli tratti di palude, laghetti artificiali e paludosi, paesi con case quadrate. C’è una malinconica serenità nei vasti paesaggi che sfilano veloci fino ad una specie di “canjon” che continua per chilometri fino ai campi coltivati, alberi ad ombrello, carri trainati da elefanti, mucche nere al pascolo. Il treno si ferma alla stazione di Morena. Cumuli di immondizie su cui molti fanno po-po, acqua stagnante dove bimbi si lavano e capre bevono. Di nuovo campagna, fertile e non ben allineata. Ad ogni battito di ciglia un’immagine incide le sensazioni come film tridimensionale.
Una donna zappa sui binari e due vecchie, sedute sul ferro delle scine, la osservano. Siamo nello stato di MPrudesh, a Gwalier, nota per i templi di Palazzo Manci. Bambini ci vendono cartoline. Il bambino “capo” dice ” Io parlo perfettamente italiano, francese, spagnolo e alemanno. Io dico di comprare cartoline perchè capo è furbo e, se non vendiamo, niente commissioni. Niente di niente. E botte, sì. Promiso tu compra me cartoline? Dopo?”. E dopo, verso l’uscita, i bambini sono tre. Il più piccolo mi segue e mi dice “Cartolina, tu promiso me compra cartolina. Cartolina, cartolina, car t o l i n a... Vorrei comprare tutte le cartoline ma so che non faccio così il suo bene. Mi fa tenerezza e pena.
Arriviamo al palazzo del Marajà Jiwaji Rao Scindia. All’interno ci sono due lampadari più grandi al mondo ed il trenino d’argento, il salotto realizzato con 560 Kg. d’oro. Davvero notevole!
Vicino al Taj Mahal (corona del Marajà) ecco il Forte Rosso, costruito da Akbar, figlio dell’Imperatore Akubal su una superficie di 2 Km e mezzo. All’ingresso la statua del re Moraka a cavallo e poi il palazzo bianco decorato con pietre dure: una meraviglia!
Alle 9 tutto è già compiuto. Ognuno al proprio posto: vecchi a gomitolo, pentole sul fuoco, letti al sole, tuk tuk zeppi di corpi appiccicati. E’ l’India in piedi, con l’odore di sterco umano e animale, di verdure fresche sui carretti. L’odore è una presenza e l’animo si piega al raccapriccio e all’attrazione dello spettacolo quieto dell’assoluta povertà.
Lo smog di New Delhi irrita gli occhi e impasta la gola. Di nuovo nel traffico caotico per arrivare al Complesso Gutuminar, con la torre e la prima moschea nell’India musulmana. Di nuovo povertà alla ribalta mentre andiamo a pranzo. Bambini truccati ballano, fanno capriole e suonano tamburi. I loro occhi esprimono la delusione del non aver ricevuto nulla da noi, certi di dare così un messaggio di speranza. Tradotto, spero di no, in botte per loro!
Dopo il pranzo, visitiamo il complesso di cento tombe dove veniamo invasi allegramente dai sorrisi, dall’allegria di frotte di studentesse con la divisa della scuola privata. Ci danno la mano, con “Hello” radiosi, sperando di essere fotografate.Sosta alla Porta dell’India, costruita dagli inglesi nel 1931 e poi all’epitaffio di Gandhi, sul posto dove fu cremato. Compro petali di tagete posati su foglie secche cucite, per 20 rupie. Li poso sulla “tomba”. E’ l’ultima tappa di una breve ma intensa calata in terra d’India del nord. E’ il tramonto quando saluto il grande pacifista e lo ringrazio per ciò che ha fatto per il mondo. Nugoli di indiani pregano.
PORTA DELL’INDIA
EPITAFFIO DI GANDHI NEW DELHI
Studentesse sedute dispensano sorrisi e mi salutano anche dopo che sono salita sul pullman. Anche la loro maestra.
Finale perfetto, al tramonto.
INDIA mistica – New Delhi, Agra, Orchha, Khajuraho, VARANASI
tullia
Carissima Pierina,
ho letto con piacere le impressioni del viaggio in India pubblicate sul tuo blog. Le ho salvate su un file per tenerle come ricordo di questa recente esperienza perchè corrispondono anche alle emozioni che questo Paese ha trasmesso a me.
Confido di poter ritrovarci a breve con i compagni di viaggio come da te suggerito.
Intanto invio un caro saluto a te e a Nevio … e una foto che vi riguarda. A presto, Tullia