NOI ITALIANI… A UN METRO DI DISTANZA 6 marzo 2020
Il mondo ha le gambe all’aria.
O, forse, sta solo ripercorrendo le orme del passato. Popoli che chiudono le porte ad altri popoli, che rifiutano le loro merci, che devono vivere la quotidianità a un metro di distanza, mascherine alla bocca, e un’incombente paura dell’ignoto minaccioso che si nasconde ovunque. Popoli che si guardano in cagnesco a suon di colpe, alla ricerca di un necessario capro espiatorio. Il cinese prima, poi l’italiano, poi, e si scopre dopo mesi, il tedesco. Uniti solo dalle stesse regole di prevenzione, molto simili a quelle dettate agli ebrei dal 1935 fino al tragico epilogo che tutti conosciamo. Infatti, era stato loro proibito di ”andare a teatro, al cinema o in altri luoghi di divertimento, di praticare sport all’aperto, frequentare piscine, campi da tennis o di hockey, di salire sul tram, studiare nelle scuole pubbliche, insegnare, svolgere le loro professioni…” Anche se, naturalmente, non c’è relazione né confronto, in questo periodo vigono le stesse restrizioni. Per loro sono state una crescente, annichilente, dolorosa preparazione alla morte sostenuta da una violenta campagna di esclusione, per noi un tentativo di garantirci la sopravvivenza.
Così, e parlo per noi italiani, cerchiamo di essere ubbidienti alle indicazioni ministeriali, ci autoisoliamo, non organizziamo né partecipiamo, mentre persino i cinesi nella nostra patria ci evitano. SIAMO MARCHIATI di una colpa che non meritiamo. Siamo definiti untori del mondo ovvero coloro che spargono il malefico Corona Virus. Dal 23 febbraio al 15 marzo siamo relegati, costretti a distanziarci di un metro da qualunque altra creatura umana che incontriamo, a chiudere le scuole, a tenere rintanati gli anziani anche quelli sani, quasi in attesa della fine del mondo da un momento all’altro. Mentre il lavoro crolla, il fatturato cala di numeri a due cifre, il turismo è davanti a un baratro, ristoranti e alberghi piangono e l’Italia accusa il colpo della strega. Per salvarla, al governo servono soldi e pure tanti. Intanto li promette ma chi sarebbe candidato a riceverli ha forti dubbi. Magari a lui non servono finanziamenti a basso tasso d’interesse né ritardi nei pagamenti della tassa sulla televisione. A lui basterebbe poter continuare a lavorare, a pagare i dipendenti, ad avere la libertà di spostarsi e di decidere come comportarsi. Ne più ne meno di ciò che stava facendo fino al 23 febbraio. Magari avrebbe preferito assumere alte dosi di vitamina C anziché assaggiare il terrorismo mediatico capace di trasformare in realtà le paure più nascoste perché, forse, non ha tutta la resistenza e resilienza che gli servirebbe per rimanere sereno. Magari vorrebbe essere informato anziché preso in giro da notizie contrastanti, rassicurato anziché bombardato di parole. VIVIAMO IN UNA STORIA SURREALE, simile a un film dell’assurdo, dove il Bel Paese è diventato il Paese Malato, messo in quarantena, isolato, beffeggiato, additato come colpevole di un’epidemia globale, dove l’utopia, disegno di una società perfetta, diventa distopia se la realtà massimamente indesiderabile si realizza. E’ questa la trama che dovremo tessere nostro malgrado nelle prossime settimane? E se non bastasse?