“MAMMA… VOGLIO ESSERE UN CELLULARE “ 30 giugno 2020
«Mamma mamma, mi aiuti? Stai un po’ con me?»
«Subito tesoro, ora non ho tempo» e intanto ha gli occhi sul telefonino.
«Mamma mamma, butta via quel cellulare», sono richieste di figli, più o meno velate, più o meno decise, rivolte a madri e padri, perennemente incollati al piccolo schermo. Ormai è normale vedere genitori impegnati a parlare al cellulare mentre i figli, anche piccoli da passeggino, tirano loro i pantaloni o le gonne per attirarne l’ attenzione.
Viene prima il cellulare dei figli? Verrebbe da pensare di sì.
Poi, le cose possono prendere pieghe inaspettate.
Ecco un esempio.
Immaginate una giovane madre che legge un tema del figlio di circa otto anni. Mentre legge, piange e guarda il marito che sta seduto sul divano, perso nel suo cellulare.
A un certo punto, lui la guarda preoccupato, e le chiede: «Perché piangi?»
Lei rilegge a voce alta il tema, iniziando dal titolo “Cosa vorresti essere”.
“Mia mamma e mio papà non mi parlano mai perché sono sempre indaffarati con i loro cellulari. Io faccio domande e loro quasi non mi rispondono. Anche quando mangiamo, hanno gli occhi su quel telefono. Io sono stufo. Non ne posso più di dover chiedere per piacere di essere guardato e ascoltato. Sì, io vorrei essere un cellulare, così mia mamma e mio papà mi vorrebbero bene come vogliono bene a lui”.
Anche il marito si commuove e le chiede chi abbia scritto quelle parole.
«Nostro figlio».
Facile immaginare il loro colpo al cuore.
Ecco un’altra scena. In treno, un bambino di circa un anno è sul passeggino, sta viaggiando in compagnia dei suoi genitori. Inizia a innervosirsi. La sua mamma sta parlando al telefono. Il suo papà sta leggendo un giornale. Il bambino scalcia un po’, agita le braccia: si capisce che comincia a non poterne più. La mamma continua la sua telefonata, il papà la sua lettura.
Improvvisamente il bambino comincia a piangere. Prima la mamma e poi il papà provano a calmarlo, scuotendo il passeggino. Il bambino tace per pochi istanti, poi ricomincia a piangere. A questo punto, il papà tira fuori dalla tasca il suo cellulare e lo passa al bambino, dopo aver selezionato su Youtube un video che, probabilmente, il bambino già conosce. Si blocca e, come ipnotizzato comincia a guardare dentro lo schermo, immagini e scene che, almeno così sembra, hanno il potere di calmarlo e tranquillizzarlo. Con buona pace dei genitori e di tutto lo scompartimento.
Altra scena, vista e rivista nei ristoranti, almeno prima della Pandemia.
La famigliola si accomoda al tavolo e, per prima cosa, consegna al piccolo il cellulare. Il cibo perde ogni importanza. Non è raro che bambini anche grandi e sani vengano imboccati da genitori distratti e persi in altri meandri. Così, la cena in ristorante si risolve in tante solitudini messe vicine quasi per caso, con cipiglio dei camerieri che, anche per l’ordinazione, devono aspettare la fine del gioco o della puntata.
Forse, noi adulti non ce ne rendiamo conto, ma mettere un bambino davanti a uno schermo per calmarlo, quando ha solo 1,2 o 3 anni, significa escluderlo dalla relazione, isolarlo e predisporlo alla dipendenza.
Uno schermo blocca le emozioni, congela tutto.
Ma, da qui a qualche tempo, il congelamento artificiale dovrà, per forza di cose, diventare altro.
Cosa sarà non è dato sapere: non è ancora arrivato il momento di pareggiare i conti.