CATINE, la cabarettista “Friulucana”, impazza a Camino al Tag. (Ud) – 28 aprile 2017
Dieci e
lode alla cabarettista Catine, all’anagrafe Caterina Tomasulo, di
origine lucana e da 23 anni residente a Tarcento (Ud). Non l’avevo mai
vista e ne ero incuriosita. Volevo capire perchè molta gente andasse a
vederla. L’ho capito ascoltandola. Sia nella parte della wedding planer zitella o di Rosella o di se stessa, è una donna che sa di buono, di
semplice, capace di far ridere. E la gente ha tanto bisogno di ridere!
La raffinata comicità e la fluidità linguistica ne fanno la magia. Una
donna come
tante, una barista della Basilicata con la passione del teatro che,
lavorando in vari locali, ha
frequentato l’ università del popolo friulano e della sua colorata ma
complicata
lingua. “Tutto è nato proprio dalle incomprensioni
che io stessa ho vissuto quando ero appena arrivata e non capivo niente
di friulano, quando credevo che il “tai” fosse una
filosofia orientale” dice.
Caterina o, meglio, Catine ascolta, impara e traduce in monologhi
teatrali le
strane fattezze linguistiche del friulano doc.
Con diversi accenti a
distanza di un solo chilometro. Ambasciatrice tra
la sua Basilicata, regione che pochi conoscono, e il Friuli situato in
quel nord che
ha un che di austriaco, Catine ne ha fatto arguta analisi caratteriale e
linguistica facendo sbocciare il suo
successo. Ingredienti? Elegante semplicità di attrice e di donna capace
di far
ridere sul serio.
Con assunzione di ruoli e relativi travestimenti ma,
ancor di
più, quando è se stessa con le 50 sfumature di friulano che snocciola
con
invidiabile competenza. Ecco allora far capolino il friulano vero, con
le espressioni che ne fanno la storia.
Quelle che da tanto non si
sentivano, quelle
non inquinate dall’ italianismo imperante. Lingua ricca di contrasti la
friulana. Dove una parola o aggettivo hanno vari significati. Ninin ad
esempio.
Dolce e carino ma anche un po’. Lingua contenitore di tante altre lingue. Tedesco, francese, inglese fino al
giapponese e all’indiano di Toro Seduto. Cif e ciaf, folketitrai, veluchicale,
sbit, sono solo alcuni esempi.
“Quando ero appena arrivata in Friuli e
sentivo dire “Al è lui” credevo che in questo paese si pregasse di
continuo: poi ho capito che non era un “alleluia”, ma significava
semplicemente “è lui”.
Parola di Catine, la “terone cui cjavei a suste”, un personaggio
teatrale che ha saputo rispolverare il
DNA del friulano riportandolo allo splendore che merita. Ma sempre con
naturalezza perché Catine non è mai banale né artificiale.
E una che si diverte
e ama ciò che dice con competenza teatrale degna di nota. E questo il pubblico
lo sente. Lo fa proprio. Si riconosce nelle vignette e nelle metafore elargite con generosità. Riscopre
dettagli della propria lingua relegati nella memoria storica. Si riconosce friulano
grazie a Catine della Basilicata.
Sembra un colmo ma, forse, sta proprio in questo l’
attrazione per lei, capace di riempire teatri solitamente poco frequentati già un’ ora prima dell’ inizio, di
far ridere di gusto solo a guardarla, di far
scattare l’ applauso già dalla prima battuta. Perché Catine è una di noi che
parla di noi con un linguaggio semplice e schietto. Ridere è solo la
conseguenza.
VIDEO https://youtu.be/QgN4JlEBnak
Che la gente abbia voglia
di ridere si sa. E lo sa Catine che scrive le battute ispirandosi alle
cose comuni come il russare dei mariti, le separazioni e il Carosello.
Recita parodie sul modo di esprimersi
del friulano visto da una meridionale e il suo show è accolto da un
pubblico divertito che risponde con gusto.
Parla a tu per tu,
delle cose di tutti e conosce benissimo la lingua friulana, meglio di
alcuni friulani. E allora i difetti diventano
caratteristiche di cui ridere per il puro piacere di farlo.
Così, in abbinata alla verve ben nota di Claudio
Moretti, novanta minuti volano e resta la gratitudine per Catine, la sua elegante comicità che è omaggio e
salvataggio della nostra lingua friulana.