Fiaba Achillone
Illustratrice della fiaba: MARIAGRAZIA PAPAGNO di Manfredonia
Questa fiaba è nata il 10 maggio 2021, da un errore di svolgimento di un compito assegnato da “A scuola di scrittura ed editoria”.
La richiesta era: “Trasferisci in un uomo – in sequenza descrittiva e riflessiva – l’aspetto e il pensiero dell’animale”.
Non ho rispettato la traccia, ma è nato Achillone.
Eccolo.
Due metri e due centimetri, largo di spalle, gambe tozze, testa da cocomero e mani da trattore: era Achille o, meglio, Achillone.
Per molti era uno scimmione, con peli dappertutto, a parte le mani. Quelle, fino al polso, erano lisce e rosate. Sì, aveva belle mani, l’Achillone! Con la fede sul mignolo sinistro, perché, sull’anulare, non gli entrava né aveva voglia di farla stringere. Fin da piccolo, soffriva del fatto di essere così grande, così discendente dalle scimmie. Beh, poteva scegliere il tipo, però. Ok, preferiva l’orango tango, forse perché il film di King Kong l’aveva visto, almeno, una ventina di volte. Gli piacevano gli occhi di quel parente molto lontano e la bontà di un cuore, a suo modo, umano. L’Achillone, col tempo, si era ingobbito. Guardando sempre giù, si era illuso di essere più basso e di passare, così, inosservato.
Evitava la folla, lui. Leggeva i pensieri delle persone, soprattutto dei bambini, che si spaventavano o sghignazzavano o lo additavano come un animale da circo. Sì, uno di quelli da osservare da lontano, per paura o soggezione. Invece, avrebbe voluto dire loro ciò che pensava e desiderava: « Salite, bambini, sulle mie spalle. Vi farò toccare le chiome delle querce e le nuvole, per finta, ma quasi per davvero».
Avrebbe fatto un salto e due e tre sulle gambone, pur di farli ridere.
Avrebbe voluto narrare loro la sua storia, di bambino nato troppo grande, quasi sei chili, del suo cullone, fatto apposta da suo padre, bravo falegname, e del suo bancone di scuola, dietro a tutti, in fondo all’aula.
Soprattutto, avrebbe voluto dire loro di non temere le sue mani, che, mai avevano picchiato né fatto a pugni, ma di entrare nei suoi occhi, troppo spesso bagnati, e di fargli compagnia, soprattutto d’estate, quando tutti andavano al mare.
Tutti, tranne lui, per non dar adito a prese in giro e a occhiate pietose o, peggio, a rimproveri.
Come un orango tango libero nella foresta, Achille, a casa sua, era felice. Era sposato, ma non aveva voluto figli: temeva crescessero troppo. Sua moglie lo capiva e lo amava.
Si sentiva protetta, perché sapeva di poter contare sul suo immenso cuore. Per Achille, infatti, tutti erano buoni. Per questo si incolpava quando veniva deriso. Per questo, forse, faceva lo scrittore e i suoi romanzi piacevano così tanto. E pure le fiabe, per i bambini che tanto amava!
Poi, ho chiesto a Mariagrazia se, per caso, avesse un’illustrazione che potesse rappresentare Achillone. Il giorno dopo, me l’ha mandata: realizzata apposta. Ha tutta la mia gratitudine.
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