I primi tagli dalla A alla Z: dal corriere della sera di oggi
DELLA SERA Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
14 novembre 2011
cominciare dalla B. Berlusconi? No: Burocrazia
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Mario Monti (LaPresse)
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Berlusconi? No: Burocrazia. Racconta il progettista della stazione Tiburtina di
Roma di una conferenza dei servizi, «decisa per accelerare», con 38
partecipanti: trentotto! Un delirio: i 456 mila euro per dare le fotocopie del
progetto a tutti gli invitati sono o no un costo della politica? Sì.
Ed è lì che, per fare le altre riforme necessarie, il nuovo premier dovrà
mettere mano. Anzi, proprio per toccare il resto, dovrà «prima» affondare il
bisturi lì: nel grasso della cattiva politica.
nostra, dove i veti incrociati sono un incubo e
il governo non può imporre alle Regioni manco la cilindrata delle autoblu senza
beccarsi un ricorso alla Corte costituzionale, la strada del nuovo premier non
sarà in discesa. Anzi. Le resistenze saranno vischiose, le ostilità mascherate
ma callose: meno funziona la macchina dello Stato più certi politici possono
mettersi di traverso, sollecitare un aiutino che dovrà poi essere ricambiato,
allargare la clientela. Al punto che, dice la Corte dei conti, il costo supplementare
delle «bustarelle» pretese per oliare il sistema sarebbe di 60 miliardi l’anno.
Una somma che prima del decollo dello spread fra i BtP e i Bund tedeschi
sarebbe bastata a pagare gli interessi annuali sul nostro debito pubblico.
E forse non è un caso se la legge anticorruzione, approvata fra squilli di
trombe dal governo Berlusconi il primo marzo 2010, giace da un anno e sette
mesi sotto la polvere. Il premier incaricato potrebbe partire da qua. In ogni
caso, come dicevamo, un punto è certo: incidere sui costi più offensivi della
cattiva politica, gli consentirebbe di raccogliere nel Paese, tra i cittadini,
quel consenso necessario non solo a scardinare le resistenze più corporative
dentro il Parlamento, ma a spiegare poi a quegli stessi cittadini che qualche
medicina amara andrà deglutita. Un’opera di convincimento possibile solo a una
classe dirigente capace di recuperare la credibilità perduta. Partendo, magari,
da questo abbecedario.
«Le abbiamo già dimezzate!», ha detto la ministra della Gioventù Giorgia Meloni
mercoledì a La7. Il ministero della Difesa, che ha un centinaio di auto blu e
700 auto «grigie» nonostante solo in 14 avrebbero diritto al privilegio aveva
appena acquistato 13 Maserati quattroporte blindate: alla faccia della manovra
di luglio, che aveva stabilito la cilindrata massima di 1.600. Se ha ragione
Brunetta si potrebbe risparmiare un miliardo l’anno. Da subito.
È la riforma più urgente: i bilanci di Stato, Regioni, Province, Comuni sono un
caos. Voci diverse, capitoli diversi, strutture diverse: ognuno fa come gli
pare. Il tutto nella nebbia volutamente più fitta. Cosa c’è nei 50 milioni di
euro della voce «fondo unico di presidenza» di palazzo Chigi? I soldi per le
operazioni «discrete» degli 007 o la tinteggiatura dei muri? Servono bilanci
unici, trasparenti, che lascino piena autonomia politica ma siano leggibili da
tutti (le fognature si chiamino fognature, le consulenze consulenze) dove si
capisca quanti soldi si spendono e per che cosa. Così i cittadini potranno fare
dei confronti innescando una spirale che porterà a risparmi veri.
L’Italia è diventata una Repubblica fondata sul conflitto d’interessi. Basta
con presidenti del Consiglio proprietari di reti televisive, ma anche assessori
alla salute titolari di aziende fornitrici della sanità pubblica,
sottosegretari proprietari di società che gestiscono la pubblicità per i
giornali, sindaci geometri che presiedono giunte che approvano i loro progetti,
avvocati-assessori che fanno causa alla propria amministrazione.
Se valessero a Roma le regole americane, ci sarebbero 186 parlamentari
«fuorilegge»: tutti coloro che, pagati per fare i deputati o i senatori fanno
pure altri mestieri, moltiplicando i propri affari grazie alla politica. E
sottraendo tempo al proprio impegno istituzionale. Ecco: copiamo gli americani.
Con la manovra di luglio si è deciso di equiparare gli stipendi dei nostri
parlamentari alla media europea, sia pure corretta in base al Pil e limitata
alle sei nazioni più grandi. Anche i rimborsi elettorali andrebbero adeguati a
quella media. È inaccettabile che un italiano spenda in media 3 euro e 38
centesimi l’anno per mantenere i partiti, contro 2,58 degli spagnoli, 1,61 dei
tedeschi e 1,25 dei francesi.
Una leggina infame permette a chi finanzia un politico di avere uno sconto
fiscale 50 volte superiore a quello di chi dà soldi a un ente benefico o alla
ricerca sul cancro. Avevano giurato di cambiarla, non l’hanno mai fatto. E
tutte le proposte di legge presentate per correggere questo abominio giacciono
mestamente in parlamento. Vanno tirate fuori e approvate. Subito.
Un consigliere comunale di Padova incassa per ogni seduta 45,90 euro, uno di
Treviso 92, uno di Verona 160. Per non dire delle regioni a statuto speciale,
dove con trucchi vari un membro del consiglio municipale di Palermo può
prendere 10mila euro al mese. Stop. L’autonomia non c’entra e non può essere
usata a capriccio: regole fisse per tutti, da Lampedusa a Vipiteno.
I ritardi sulla velocità di download, dove nella classifica netindex.com siamo
al 70° posto dopo Kazakistan e Rwanda, sono così abissali da far sospettare a
una scelta inconfessabile: meno funzionano gli sportelli elettronici, più i cittadini
dipendono dai «piaceri» della burocrazia e della politica. Con costi enormi, da
tagliare.
Le «buste paga» devono essere trasparenti, commisurate alla media europea, per
tutte le cariche: l’assessore alla sanità altoatesino non può guadagnare 6mila
euro più del ministro della sanità di Berlino. Basta furbizie, come certi
rimborsi esentasse a forfait (magari anche a chi non ha la macchina, come nel
Lazio) o il contributo per i portaborse che troppo spesso, incassato dal
parlamentare, è girato ai collaboratori solo in minima parte e in nero. Si
faccia come a Strasburgo, dove gli assistenti sono pagati direttamente
dall’Europarlamento.
Il governo Prodi nell’infuriare delle polemiche aveva fissato un limite massimo
agli stipendi dei superburocrati: 289 mila euro. Quel tetto, tuttavia, non è
mai stato applicato. Tanto che il presidente delle Poste Giovanni Ialongo nel
2009 di euro ne ha presi 635 mila. Urgono nuove regole.
Le società miste dei servizi pubblici locali sono state troppo spesso usate per
aggirare le regole su assunzioni e appalti causando paurosi buchi finanziari
ripianati dalla collettività. Basta. È inammissibile che un comune, socio
principale, approvi un bilancio in rosso senza risponderne. Le regole devono
essere le stesse del settore privato: chi truffa paga.
Il «manuale Cencelli», in base al quale vengono ripartite fra i partiti le
poltrone pubbliche, vada al macero. Le nomine devono obbedire esclusivamente a
criteri di merito. Va fissata la regola che chi ha ricoperto una qualsiasi
carica elettiva non può essere nominato in un’azienda pubblica almeno per
cinque anni. Sennò ogni poltrona diventa merce di scambio per i riciclati o per
comprare un’alleanza.
Una legge costituzionale che preveda il dimezzamento dei Parlamentari e il
superamento del bicameralismo perfetto si può approvare in 90 giorni. Sono
tutti d’accordo, come dicono da mesi? Lo dimostrino.
Quante volte destra e sinistra hanno promesso che avrebbero abolito le
Province? Costano fra i 14 e i 17 miliardi di euro l’anno e alla fine aveva
accettato il taglio, sia pure a malincuore, anche la Lega. Passino dalle parole
ai fatti. Anche in questo caso basterebbero tre mesi.
Il mercato dell’auto in Italia è sceso ai livelli del 1983. Da quell’anno preso
ad esempio il Pil pro capite è cresciuto del 40% ma il costo della Camera e del
Senato in termini reali è quadruplicato. Un delirio megalomane. Da ricondurre a
una maggiore sobrietà. Anche mettendo fine al principio dell’autodichia, in
base al quale nessuno può mettere becco sui conti di Camera, Senato e
Quirinale. Un controllo esterno, visto quanto è successo, è obbligatorio.
È intollerabile che rispetto agli abitanti i consigli regionali della Lombardia
o dell’Emilia-Romagna costino circa 8 euro pro capite, quello sardo 51 o quello
aostano 124. Identici servizi devono avere identici costi. Il «parametro 8
euro» farebbe risparmiare 606 milioni l’anno. Tolto l’Alto Adige per l’accordo
internazionale da rispettare, andrebbero riviste inoltre alcune regole delle
autonomie: non possono essere occasione di ingiusti squilibri e privilegi.
Da decenni ogni ministro dell’Interno dice d’averle tagliate, ma è una bufala.
A Roma il rapporto fra auto di scorta e volanti della polizia, lo dice il Sap
ma il prefetto concorda, è di otto a uno. Di più: la benzina per le scorte non
manca mai, quella per le volanti o le gazzelle devono pagarla talvolta di tasca
propria i poliziotti e i carabinieri.
Facciamo come gli inglesi: prendiamo le loro stesse regole sulla situazione
patrimoniale di parlamentari, consiglieri regionali, sindaci e altre cariche
elettive. Tutto trasparente, tutto sul Web. A partire dai finanziamenti privati
ai partiti, oggi non solo limitati alle somme sopra i 50 mila euro, ma
inaccessibili on-line. In più, la certificazione dei bilanci dei partiti va
resa obbligatoria.
È la regola aurea della buona amministrazione. I costi devono essere uniformi:
dalle «liquidazioni» ai deputati alle siringhe delle Asl. Per mantenere i suoi
dipendenti la Regione siciliana non può far pagare a ogni cittadino 353 contro
i 21 euro della Lombardia. E se si stabilisce il blocco delle assunzioni,
questo deve riguardare, a maggior ragione, anche palazzo Chigi.
Nel 2009 le ore volate per ogni membro del governo sono state del 23% superiori
al record del 2005 e addirittura del 154,2% rispetto al 2007 (gabinetto Prodi).
La recente norma voluta da Tremonti che limita i voli blu ai massimi vertici
dello Stato va applicata subito. Con l’obbligo di pubblicare su internet i
dettagli di ogni viaggio: nome dei passeggeri, destinazione, costo. Una
disposizione che dovrebbe essere retroattiva, perché i cittadini si possano
rendere conto di quello che è successo negli ultimi anni.
Prima di toccare le pensioni dei cittadini va radicalmente cambiato il sistema
dei vitalizi, che oggi vede da 11 a 13 euro di uscite per ogni euro di
contributi in entrata. Vale per il Parlamento, vale per le Regioni: 16 anni
dopo la riforma Dini è scandaloso che qua e là si possa andare in pensione
ancora a 51 anni con quattro di contributi.
Vanno tagliate subito sul serio tutte le spese esagerate. I dipendenti di
palazzo Chigi sono attualmente più di 4.600 contro i 1.337 del Cabinet Office
di David Cameron. La sola Camera paga per affitti 35 milioni di euro l’anno: 41
volte più che nel 1983. Una megalomania estesa alle Regioni. Dove negli ultimi
anni gli investimenti immobiliari sono stati massicci. La Puglia «sinistrorsa»
ha appaltato la costruzione della nuova sede per 87 milioni, la Lombardia
«destrorsa» per il Nuovo Pirellone con un mega-eliporto ne ha spesi 400. Per
non dire di certi contratti extra lusso: ogni dipendente medio del Senato costa
137.525 euro. Cioè 19 mila più dello stipendio dei 21 collaboratori stretti di
Barack Obama.