IL PAESE giugno 2015 : Editoriale: NATIVI DIGITALI: IGNARE VITTIME O FORTUNATI FRUITORI?
FORTUNATI FRUITORI?
benandanti nascevano con la camicia. I bambini, oggi, nascono inzuppati di
tecnologia. Per questo vengono chiamati “Nativi digitali” e sono coloro che
sono saliti in groppa al cavallo digitale fin da quando oziavano beatamente nel
grembo materno, ignari del fatto che il mondo li stesse osservando. Come? Con
ripetute ecografie, anche quelle tridimensionali, capaci
di far vedere il feto in ogni strato e situazione
possibile, annullando fin dall’inizio la parola “Privacy”. Dito in bocca, occhi
aperti, tratti sessuali, posizione preferita. Tutto di lui è dato sapere e
vedere. Appena superato il nero tunnel, ecco i flash, cellulari, video dargli
il benvenuto nel nuovo mondo, zeppo di occhi tecnologici e dita cliccanti. Da quel momento la vertiginosa galoppata imbocca, senza via
di scampo, l’unica autostrada percorribile, quella della lunga serie di
invenzioni tecnologiche sempre più ardite. Diventa così normale che, a
pochi mesi, il nostro eroe nativo digitale diriga il telecomando verso
la televisione, riuscendo in un baleno ad accenderla, o che dica “Ponto” come
prima parola, con cellulare all’orecchio e indice impegnato a scorrerne le
immagini sullo schermo. Alla faccia
della mitica ma obsoleta “Mamma”! Praticamente tutti, nonni compresi, hanno
capito che questa è l’era digitale. I
nativi di quest’epoca ne sono imbevuti e, giocoforza, ne sono esperti fruitori, agevolati dalla velocità delle infinite informazioni. Così, i nativi digitali crescono sempre più competenti ma sempre più
fragili. A tre anni impastano
modelli e pensieri con cellulare, Tablet, internet e molto
altro. E’ frequente sentirli dire “Io
scarico i giochi da dove ci sono due matite incrociate sul telefono, tipo c’è
uno quadrato che si schiaccia lì e prendi quello che vuoi tu. Li “sceglio” io
quelli che voglio io, tipo Barbie, modelle. La mamma mi lascia il telefono e mi
scrive lei la password, quella che si scrive, ma bisogna stare attenti perché
ci sono dei piccoli ladretti che ti rubano i soldini dal cellulare, tipo ti
attaccano. Non si vedono e intanto che vai a dormire loro mangiano. Tipo vanno
dal buchetto della porta, scendono, “salono”, e entrano nel bagno dove la mamma
mette il cellulare scarico e lo attacca alla spinetta, quella che carica il
telefono”. A cinque anni condiscono le fiabe con problemi di mezza tacca sul
Samsung Galaxy o di pin dimenticato.
Scene di ordinaria epoca digitale si svolgono ovunque. In ristorante, il Tablet
è il silenziatore dei bambini. Alzano la testa per dire al cameriere “Patatine
fritte” e della loro voce svanisce ogni traccia. Feste di compleanno al
silenziatore, dove gli “amici” si spediscono messaggi pur stando a pochi
centimetri. Ragazzini pieni di
talenti, sembrano lontani anni luce dalla realtà, incollati come sono a play
station e cellulari. Musica? Quella delle dita sui tasti. Oppure, per calare
meglio la tendina comunicativa, l’MP3 e auricolari. Una bimba di sette anni chiede
“ Nonna, quante eclissi conosci”? Non aspetta la risposta e dice “Non importa,
chiedo al telefono della mamma. Quello mi dà tutte le informazioni che voglio
in un momento”. Capitato a me. Ma mi è successo anche di trovarmi in un gruppo
di “Non” native digitali e di essere riuscita a parlare soltanto con una perché
le altre erano tutte con il cellulare in mano. I loro discorsi erano centrati
su “Hai quel video? Passamelo su Bluetooth che poi lo metto su Facebook” oppure
“Hai le foto di quella volta in cui…” o “Leggi questa barzelletta. Che ridere”.
Consapevoli vittime o fortunate
fruitrici? Io ritengo la tecnologia una grande opportunità e fonte di
cultura, di comunicazione veloce e ampia, altrimenti impensabile. Sono
fortunata perché posso fare un confronto con il tempo in cui non esisteva e mi
rendo conto che oggi non sarebbe più possibile vivere in quel modo. Ma mi piace pensare alla tecnologia come a
un vestito di cui ci si possa spogliare
a piacimento. Regalandosi la libertà di parlare guardando negli occhi l’altro,
di stare in silenzio, di fare un conteggio a mente, di leggere il giornale, un
libro, e perfino la cara, vecchia enciclopedia, di guardare le fotografie di
carta. I nativi digitali sono a senso unico perché non conoscono
l’alternativa. La tecnologia cade su di
loro come un diluvio, con il rischio di farli ammalare. Il sintomo è racchiuso
in ciò che mi ha detto un bambino di cinque anni “ Io mi annoio. Non so cosa
fare quando sono a casa. Mi stufo a giocare sempre col Nintendo…”. Che sia la
goccia che può far traboccare il vaso?
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possibile frequentare il seminario BAPNE, stimolazioni cognitive,
socio-emozionali, psicomotorie e neuroriabilitative, con il Dott. Javier
Romero Naranjo, musicologo presso l´Università A. Von Humboldt di Berlino,
Phd presso l’università di Alicante (Spagna) e ideatore del metodo in grado
di sviluppare attenzione, concentrazione, memoria e le
intelligenze multiple di ogni persona. BAPNE è un acronimo che identifica la
Biomeccanica, l’Anatomia, la Psicologia, le Neuroscienze e l’Etnomusicologia,
unite alla didattica della bodypercussion. Si tratta di un’opportunità
straordinaria aperta agli adulti, differenziata in tre livelli, dai 18 ai
60 anni di età. La
Scuola di Codroipo è sede nazionale per questa metodologia.