PUGLIA: L’ULTIMO TRABUCCO del GARGANO 31 luglio 2020
Puglia – Gargano: Baia di Peschici, loc. Manacore (Foggia).
Con emozione e curiosità, ho vissuto da dentro l’ultimo trabucco funzionante del Gargano. Patrimoni monumentali dell’umanità, sono le ingegnose macchine da pesca in legno su palafitta.
Costruite fin dal tempo dei Fenici, hanno sfamato generazioni di “trabuccolanti” e compaesani.
Grazie ai “trabocchetti”, i pesci entrano nelle grandi reti chiuse da tre lati e appoggiate nella sabbia. In tal modo vengono imbrogliati: se si accorgessero delle reti, se ne allontanerebbero. Dalla spiaggia di Manacore, nella frastagliata costa del Gargano, all’estremo lembo nord della Puglia, se ne vedono due. Il trabucco di sinistra, davanti alla torre saracena, è ridotto a scheletro.
Quello di destra, detto “Furcichella”, pur bisognoso di manutenzione, è ancora pulsante, produttivo. Vivo!
Più volte al giorno, fin quando c’è pesce, si anima nel momento di tirar su il pescato. Il rito si ripete da quando è stato costruito, 90 anni fa. ll sistema di argani, tiranti, reti, corde e antenne, azionato da due o più persone, mette in moto la macchina da pesca. Poi fa girare velocemente gli arganelli collegati alle reti, che imprigionano i pesci, e li raccolgono in un retino.
A coordinare le sapienti manovre, con precise indicazioni, c’è un uomo: magro, berretto con frontino nero, maglietta a mezze maniche blu stantio.
Ha un viso ramato, rilassato, ricamato dal tempo: è Giuseppino Marino, 87 anni, ultimo pescatore col trabucco del Gargano. Seduta su esile panca di legno, sua moglie da 57 anni e coetanea, Michelina. Lo osserva e tace.
Sotto gli occhiali spessi e la corona d’argento sul viso, lo segue con sguardo vigile e innamorato.
Giuseppino, Giuseppein per lei, se ne compiace mentre, con affabili modi, descrive il trabucco: 300 mq, appartenuto a suo padre e, ancor prima, a suo nonno.
«È una cosa meravigliosa! Una macchina per pescare costruita quando non c’erano né barche né canne. Trabucco vuol dire trabocchetto per i pesci: significa imbrogliarli, insomma. Se la giornata è buona, vedesse quanti se ne tirano su… Ma, se il mare è argentato, anche il pescato è magro. Aah!»
Gesticola con le stesse mani con cui manovra ingranaggi. Dà ordini, cuce reti e costruisce incredibili trabucchi in miniatura.
Li espone nella sua piccola dimora, in una stanzetta dove un lungo tavolo foderato di plastica a tema marinaro è sempre pronto all’ospitalità.
Giuseppino Marino non fa mistero della sua intenzione di dismettere il trabucco.
«Io mi sono fatto vecchio. Ho tanto lavorato, sapevo fare di tutto. Sto bene qui, ma chi mi dà i soldi per mantenerlo?»
Sospira, sorridendo sotto la barba di un giorno.
«Che, la vuole un po’ di frittura?» chiede.
«Grazie, ma sto in hotel» rispondo.
«Fa niente. La aspetto domani. Così mi aiuta a tirar su le reti. Magari le racconto un po’ di cose. Sono famoso io, sa? L’altro giorno è venuta la Rai a intervistarmi. Sa che sono stato un attore? Ero il ladrone in croce nel film “Gesù Cristo” del 1953. Sa quanti libri sono stati scritti su di me? Tanti, non so nemmeno io quanti. Ho girato il mondo, io, ma solo in fotografia. Eeeh, sapesse quanti sono venuti qui a fotografarmi! Dai, facciamo anche noi una foto o un filmino, come vuole lei».
Il sorriso fanciullesco gli illumina le pupille, rivolte al suo Adriatico.
È d’argento, come lui, l’ultimo “trabuccolante” del Gargano, capace di gustare con gli occhi e il cuore il mare della vita, incurante del vento e della salsedine.
«La macchina pareva vivere d’armonia propria, avere un’aria e un’effige di corpo d’anima» |
(Gabriele D’Annunzio: Trionfo della morte) |
Racconto:
Giuseppino Marino, l’ultimo trabuccolante del Gargano
Si chiamano “trabucchi” le ingegnose macchine da pesca, in legno, costruite su palafitte fin dal tempo dei Fenici. Sono luoghi affascinanti, che raccontano storie familiari, di fatica e di sostentamento. Per questo, sono tutelati come Patrimoni Monumentali dell’Umanità.
Troneggiano, orgogliosi, sulle coste abruzzesi, molisane e del Gargano. Dalla spiaggia di Manacore, nella Baia di Peschici, all’estremo nord della Puglia, se ne vedono due. Il trabucco di sinistra, davanti alla torre saracena, è ridotto a scheletro. Quello di destra, detto “Furcichella”, è ancora pulsante e produttivo. Vivo!
Più volte al giorno si anima per tirar su il pescato, in un rito che si ripete da 90 anni, da quando è stato costruito. Il sistema di argani, tiranti, reti, corde e antenne, azionato da due o più persone, mette in moto la macchina da pesca, ne fa girare velocemente gli arganelli per far entrare i pesci nelle grandi reti, appoggiate nella sabbia e chiuse su tre lati.
A coordinare le sapienti manovre, con precise indicazioni, c’è un uomo: ha un viso buono, ramato, ricamato a punto croce. Il tempo sembra scivolargli giù dal berretto con frontino nero e dalla maglietta a mezze maniche, blu stantio. Il sorriso fanciullesco gli illumina le pupille, rivolte al suo Adriatico. Ha occhi di cielo e di mare e di un azzurro perlato che si perde nelle preoccupazioni sul domani del suo trabucco, bisognoso di urgenti cure. È Giuseppino Marino, 87 anni, ultimo pescatore col trabucco del Gargano. Seduta su esile panca di legno, sua moglie da 58 anni e coetanea, Michelina, lo ama in silenzio. Giuseppino, Giuseppein per lei, se ne compiace mentre, con affabili gesti, descrive il trabucco: 300 mq, è appartenuto a suo padre e, ancor prima, a suo nonno.
«È una cosa meravigliosa! Una macchina per pescare costruita quando non c’erano né barche né canne. Trabucco vuol dire trabocchetto per i pesci: significa imbrogliarli, insomma. Se la giornata è buona, vedesse quanti se ne tirano su… Ma, se il mare è argentato, anche il pescato è magro. Aah!»
Gesticola e manovra ingranaggi e dà ordini e cuce reti e costruisce incredibili trabucchi in miniatura e li espone nella sua piccola dimora. Lì, l’unico tavolo, foderato di plastica a tema marinaro, è sempre apparecchiato.
Sospira sorridendo, Marino, sotto alla barba lunga un giorno.
«Che, la vuole un po’ di frittura?» chiede.
«Grazie, ma sto in hotel».
«Fa niente. La aspetto domani. Così mi aiuta a tirar su le reti. Magari le racconto un po’ di cose. Sono famoso io, sa? L’altro giorno è venuta la Rai a intervistarmi. Sa che sono stato un attore? Ero il ladrone in croce nel film “Gesù Cristo” del 1953. Sa quanti libri sono stati scritti su di me? Tanti, non so nemmeno io quanti. Ho girato il mondo, io, ma solo in fotografia. Eeeh, sapesse quanti sono venuti qui a fotografarmi! Dai, facciamo anche noi una foto o un filmino? Così può raccontare di me, dopo, alla gente che non mi conosce».
Come gabbiani golosi di avanzi, i suoi pensieri frullano nella brezza d’argento, incuranti del tempo e della salsedine.
Racconto pubblicato sul pocket Abacoviaggi-Mare 2021
www.abacoviaggi.com